lunedì 21 dicembre 2009

Favola di Natale














C' era una volta, in un luogo lontano, in un tempo indefinito, un uomo molto ricco e potente.
Era figlio di un re.
Era un uomo ambizioso che amava essere adorato. Il suo più grande desiderio era quello di diventare il monarca assoluto.

Nonostante avesse moltitudini di servitori e soldati al suo seguito, nonostante avesse castelli in ogni provincia del regno, nonostante avesse i forzieri ricolmi di moneta sonante, voleva di più!

Suo padre, il re, era ancora un uomo forte e vigoroso. Insomma, non ne voleva sapere di morire ed il figliuolo, ansioso di sedere sul trono, cominciò ad architettare un piano per diventare il sovrano.
Così, cominciò a mettere in pratica la sua strategia.

Come prima cosa pagò laute tangenti ai consiglieri del padre, in modo da garantirsi appoggi sicuri. Come seconda cosa utilizzò il denaro per pagare sicari che, con molta discrezione, facessero piazza pulita dei suoi avversari. Inoltre, cominciò a regalare al suo popolo giochi circensi e spettacoli erotici.
Nacquero così le veline: donne giovani e molto belle che velavano il proprio corpo. Il loro scopo era quello di incantare e sedurre gli uomini, roteando i fianchi e mostrando centimetri di nuda pelle.
Il popolo amava queste distrazioni.

E, distratto, non si accorse della lenta e subdola ascesa al potere del principe egocentrico, assetato di potere e ricolmo di oro.

Il re, sempre in gamba e dal cervello fino, si accorse dei giochi machiavellici del propio figlio e gli disse: "tu non sei degno di salire sul trono, ti diseredo!".
Con un comunicato stampa letto dai banditori in ogni angolo del paese, il re comunicò che il principe non sarebbe mai salito sul trono.

Fu così che, il figlio spodestato, cominciò una campagna di odio ed insulti. Come poteva, lui, essere oltraggiato in quella maniera?
Non si risparmiava commenti volgari, accuse false e minacce più o meno palesi.
Chiunque osasse fargli opposizione, veniva tacciato di ignoranza, invidia e vilipendio.

Il re morì di dolore.

Il principe, grazie all'elargizione di valanghe di denaro a ministri, giudici, consiglieri, banditori e chiunque potesse aiutarlo a salire al potere, riuscì a fare cambiare la legge del suo regno e a sedere sull'agognato trono.
Da allora il regno cadde in un incubo.
Quelli che non si erano lasciati affascinare dai giochi circensi e dagli spettacoli erotici, cioè in grado di pensare con le proprie teste, avevano cercato di protestare, ma la loro voce era fievole e pressochè inascoltata. Non erano riusciti ad impedire l'ascesa del principe, ora divenuto re.
La libertà di parola e di pensiero, venne lentamente a mancare.

Il re era sicuro che il popolo lo amasse perchè dava loro l'intrattenimento. Con questo era convinto di raggiungere i loro cuori e di conseguenza, di essere amato.
Però, le sue principali occupazioni erano quella di illudere i sudditi convincendoli di cose che in realtà non esistevano e quella di trastullarsi con giovincelle piccole di età, ma con la visione del proprio futuro ben chiaro.

Chiunque si opponesse o lo criticasse, veniva messo a tacere.

Il re, con una mano porgeva il denaro e con l'altra se lo ripigliava con gli interessi.

Una grande siccità sopraggiunse, la terra non dava più i suoi frutti e di conseguenza il popolo cominciò ad avere fame.
I giochi circensi e le donnine non bastarono più a distrarre la gente che voleva soltanto mangiare.
Il re dichiarava: "Va tutto bene, c'è l'abbondanza!". Mostrava, così il suo oro , la sua tavola imbandita, le danzatrici ed i pagliacci.

Inesorabilmente iniziarono manifestazioni di piazza: manifestazioni di protesta, rabbia e frustrazione.
Come poteva, il sovrano, negare così l'evidenza del suo comportamento presuntuoso ed arrogante?

Un giorno, il re che amava i bagni di folla cercò di parlare al suo popolo, promettendo denaro e donne.
Il popolo urlava:"è il pane quello che vogliamo!"

Ma venne il tempo del ravvedimento, quando dal male se ne trae il bene.

Un vagabondo afferrò un sasso spigoloso e, con una mira infallibile, colpì il re in pieno volto trasformandolo in una maschera di sangue.
Il re era incredulo: come avevano osato colpirlo? Perchè lo avevano fatto?Io li amo, perchè loro non mi ricambiano?
Fu questa la sua amara conclusione.

Una lenta ed inesorabile presa di coscienza si fece largo nella mente del re. Si rese conto che, per essere amato, non doveva mostrarsi come un essere superiore al di sopra delle regole, ma come un uomo di pace e dialogo.

Da quel giorno, il re cominciò a prendere seriamente a cuore i problemi del suo popolo. Non fu più un uomo arrogante ed egocentrico, ma divenne un uomo mite ed umile.
Cominciò a dialogare con i propri avversari, ascoltando e valutando le idee di chi la pensava diversamente.
Smise di frequentare le ragazzine e si sposò.

Il popolo, resosi conto del ravvedimento del proprio re, cominciò ad amarlo veramente e l'amore vinse sull'odio.

Qual'è la morale?
La morale non c'è, è soltanto una favola.

2 commenti:

  1. In realtà non è una favola ma un racconto di un pezzo di storia dell'Italia degli ultimi tempi... é che io non riconosco appieno la fine ma chissà, un giorno..

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  2. @ anonimo

    neppure io mi riconosco nel finale, per questo ho chiamato questo racconto "favola". e' vero che la sperarza è l'ultima a morire, ma solo nelle favole ci sono i lieto fine.

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