giovedì 30 settembre 2010

Ho letto un libro...














Ho letto un libro.
Un libro che mi pigliava un sacco. L'ho aperto e l'ho divorato con gli occhi. 

Questo libro mi è stato regalato l'anno scorso, per il mio compleanno. L'avevo messo sul comodino, in attesa di godermelo dopo aver finito di leggerne un altro. 

Arriva mia sorella che vive a 350 km di distanza. Lo trova sul mobile, lo apre e lo inizia a leggere. 
Mia sorella ritorna a 350 km di distanza. Con il libro. 

"Me lo hai preso tu il libro?", le chiedo.
"Si".
"Ma io non l'ho ancora letto!!!".
"E va beh, te lo restituisco la prossima volta che vengo su". 

E' passato un anno, mia sorella ha percorso quei 350 km di distanza almeno 3 o 4 volte, ma senza il mio libro. 

"Bello!" mi dice lei. 
"Grazie del commento, sarei proprio curiosa di leggerlo."
"E' un libro che ti piglia e non riesci a smettere di leggerlo finché non arrivi all'ultima pagina!".

Mi sa che ci si è affezionata, dimentica sempre di restituirmelo. 

Ad una mia amica, per il suo compleanno di quest'anno, le è stato regalato lo stesso libro.

"E' il libro che mi ha fregato mia sorella!" esclamo. 
Lei gentilmente mi dice: "vuoi che te lo presti?!"
"Grazie. Però, leggilo prima tu, poi me lo dai".
"Ho appena iniziato un altro libro. Tienilo, leggilo tu per prima!"

Commossa lo prendo in prestito ed inizio a leggerlo. Un libro che mi piglia un sacco, letto tutto di un fiato, fino all'ultima pagina. Persino i ringraziamenti, l'indice e la pubblicità di un altro libro. 

La mia amica ha compiuto gli anni mesi fa, glielo devo ancora restituire. Che dire, mi ci sono affezionata! 

mercoledì 22 settembre 2010

Usagi va a casa















Ricordo quando frequentavo le medie ed un mio compagno di classe, un gran simpaticone, mi prendeva in giro chiamandomi "cinesina" a causa della forma particolare dei miei occhi. 


Mi sono sempre guardata allo specchio, chiedendomi: perché cinese? Al massimo giapponese. Anche se sarebbe stato più giusto definirmi "terrona". 

Immaginavo un mio avo terrone in giro per il mondo, partito dalle coste di Termini Imerese (scansando le navi italiane regalate ai libici) e dopo tanto vagare sbarca nel Sol Levante. Incontra e si innamora perdutamente di una Geisha. Dal loro amore nasce una bambina. La Geisha si ammala e prega il mio avo di portare il frutto del loro amore lontano. Allora l'antenato abbandona la Geisha morente e torna in Italia con una bocca in più da sfamare.

Ma questa visione romantica cozza con la storia di famiglia. Potrebbe essere più veritiera una scappatella di qualche mia antenata con un bel manzo giapponese. Anche se dubito che in Giappone abbiano dei ragazzotti alti, slanciati, robusti e soprattutto belli.

Comunque, in cuor mio, ho sempre pensato di essere Giapponese nell'anime.

In una qualsiasi città d'arte italiana o europea, dove è possibile avvistare gente nipponica, mi sono sempre soffermata ad osservarli. 
In gruppo, ordinati ed ubbidienti. Sorridenti e curiosi. Le macchine fotografiche, appendice delle loro mani. L'obiettivo, non perdere d'occhio l'ombrello alzato della loro guida e non lasciarsi scappare la migliore foto dei tombini.  Giuro che li ho visti, non è una leggenda metropolitana.

Ho sempre adorato le ragazzine vestite con 500 euro addosso al netto dei tacchi a spillo. Passeggiano con naturalezza  tra rovine e strade acciotolate. Si disincastrano dai tombini con semplicità e fare aggraziato (che scoperta, avrei detto si scrivesse aggrazziato...).

Poi, quando ho scoperto le cosplay, non ho avuto più dubbi: sono giapponese. 

Per questo motivo ho deciso di andare a casa. A conoscere la mia vera patria, il Giappone. 

Ufficialmente per due settimane, ma in realtà non so se tornerò... Non perché la sottoscritta Usagi resterà in Giappone di sua volontà vestendo panni da geisha con i fiori tra i capelli, ma perché non riuscirà mai ad uscire dall'aeroporto di Narita/Tokyo. 

Vi sfido a decifrare questo cartello: 


Auguratemi Buon Viaggio. 
Manca poco ormai alla partenza.....  


giovedì 16 settembre 2010

Esempio di economia che gira.

















Chi rinuncerebbe mai alle porcherie? 

Io compro le porcherie.

Comprando le porcherie, l'azienda che le produce fa fatturato.
Gli operai lavorano ed hanno uno stipendio ogni mese. 

Io vado dal dentista a causa delle porcherie.
Il dentista mi salassa.
Con i miei soldi e con i soldi degli operai che producono e mangiano porcherie, il dentista si fa una mega villa.

Architetti, ingegneri, muratori, elettricisti, idraulici, serramenti e giardinieri lavorano e guadagnano.
Questi professionisti comprano le porcherie, si rovinano i denti e ritornano dal dentista che stavolta si riprende i soldi spesi per la villa.

Facendo così l'economia gira, ma solo per il dentista.

Tutto questo ragionamento mentre gusto il Nutella Snak and Drink 

Forse avrei bisogno di un'analista.

L'analista con i miei soldi si compra le porcherie, gli si cariano i denti e va dal dentista....







Post prodotto con l'aiuto  de ILFULMICOTONATO . Per fare certe riflessioni, ci vogliono due teste. 

venerdì 10 settembre 2010

Ti ho detto che non ce l'ho....



Capita di fare la commessa in un negozio di alimentari. 
Capita che ti chiedano un litro di aceto bianco.
Capita che lo cerchi e non lo trovi.
Capita che sia finito.
Capita che ti scusi e aggiungi che il prodotto mancante arriverà presto.

In teoria, il cliente dovrebbe rispondere: "non importa" o "peccato", poi uscire, andare al supermercato e comprarsi l'aceto di vino bianco. 

Invece capita che ti continuino a fissare come se non avessero ben capito. Come se non ti credessero. 
Il cliente continua a fissarti con sguardo dubbioso ed incredulo ed infine domanda: "sicura?". 

No! Non sono sicura. Mi diverto a dire che non ce l'ho. Cosa devo fare, me lo invento? Magari lo faccio spuntare dal nulla esclamando "abracadabra" e mentre ci sono ti condisco pure l'insalata. Ti ho detto che non ce l'ho!!!

In quel momento verrebbe voglia di prendere una cassetta di frutta e spaccarla sulla testa del cliente di turno, che sia esso una casalinga, una donna in carriera, un padre di famiglia, un pensionato o una docile vecchietta. 

Invece devi fare un sorriso tirato, magari fare un risolino come se ti avessero fatto una battuta simpaticissima e rispondere: "si, sicura! Vuole altro?". 

Non capisco perché se dico che un prodotto non c'è, pretendano che ci sia. Poi ti chiedono: "sicura?". 

In realtà l'aceto non lo voglio vendere, perché nascondo le bottiglie, una al giorno per non farmi notare, per poi rivenderle al mercato nero. 
Perché venderlo ad una pensionata che si presenta in negozio, quando posso guadagnare il doppio usando canali alternativi?

Illuminazione. Non è che per caso "sicura?" sia una specie di parola d'ordine che il cliente usa per essere indirizzato al mercato nero dell'aceto di vino bianco?

Capita che il cliente di turno, vada dalla tua collega e le chieda: "ma è vero che è finito l'aceto di vino bianco?". 

giovedì 9 settembre 2010

Autocelebrazione













Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! Tanti auguri a me! 

E la torta  sempre a me!

Si è capito che oggi è il mio compleanno? :-)

giovedì 2 settembre 2010

Canta che ti passa...

















Se avessi la lampada di Aladino, uno dei desideri che esprimerei, sarebbe quello di saper cantare.
Chissà se la frase precedente ha una costruzione grammaticale corretta... Ho sempre avuto difficoltà ad usare tempi verbali che non fossero o che non siano il presente, l'imperfetto e il futuro prossimo venturo.

Ritornando alla lampada di Aladino, se ce l'avessi tra le mani, esprimerei questo desiderio: "voglio essere la più brava cantante del mondo!". Oltre a desiderare di saper utilizzare nel modo giusto i verbi, ma questa è un'altra storia.  

Trovo figo quando una persona riesce a raggiungere con la voce tonalità altissime e timbri dai mille colori. Come urlare senza nessuna sbavatura. 
Ho sempre immaginato che il canto debba essere come la brezza fresca in primavera che accarezza le foglie degli alberi e trasporta il profumo dei fiori.

Cavolicchio che espressione romantica! A rileggerla mi si cariano i denti. Eppure, rende l'idea. 

Ho sempre sognato sedurre gli uomini con la voce. Cantare alla luce di un falò e lanciare sguardi ammiccanti. 

Ma ahimè, se mi metto a cantare la voce mi muore in gola tanto da sembrare una gallina strozzata. Io e le cornacchie potremmo fare a gara per chi emette il suono più sgradevole. 

Gli unici posti in cui potevo cantare erano sotto la doccia e nell'abitacolo della mia auto. Ma da un pò di tempo la doccia, quando mi vede arrivare, entra in sciopero e protesta  gettando solo acqua fredda. Finché è estate va bene, ma d'inverno la cosa potrebbe diventare un problema per i miei reumatismi.

Una volta cantavo in auto, ma la mia auto per non sentirmi più cantare ha mandato fuori fase l'autoradio. Potrei cantare senza l'ausilio dell'autoradio, ma ho paura delle ritorsioni che il mio veicolo potrebbe ritorcere contro la mia persona. 

Una volta ho cantato i Negramaro in un locale dove c'era il karaoke. Ho cantato con l'aiuto di due Mojitos e un caipiroska. Il locale si è svuotato nella stessa maniera che un luogo si svuota dopo che si è creato il panico   da pacco bomba. Il ragazzo del karaoke ha tentato il suicidio sfondando la vetrata durante la fuga, mentre alcune persone sono rimaste calpestate nel fuggi fuggi generale. 

Il padrone del locale mi ha impedito l'accesso finché campo. Ho una diffida dal tribunale. Se mi baccano a meno di 200 m dal pub, rischio di essere sbattuta in galera. 
Non oso pensare cosa potrebbero farmi le altre carcerate se iniziassi ad intonare We are young di Mika nella solitudine della mia cella.

Fatto sta che il mio sogno di sedurre gli uomini come Ulisse fu sedotto dal canto delle sirene, non si realizzerà mai. Per fortuna ho le tette grosse.