mercoledì 29 dicembre 2010

Dove si dirige lo sguardo?













Percorro quella strada tutti i giorni ed ogni giorno è come se la percorressi per la prima volta. 

Quell'albero storto che sporge da dietro quel muro ha la forma di una mano tesa. Non me ne ero mai accorta.
E quella casa? da quanto tempo sta li? Non l'avevo mai notata. 
Per non parlare di quel cartello stradale e dell'insegna sopra quell'edificio: "cucine su misura". 
E quel bar? da dove è spuntato? 
Un prefabbricato già finito. Ma quando hanno iniziato a costruirlo? 
Percorro quella strada tutti i giorni ed ogni giorno qualcosa di nuovo spunta sul suo ciglio o magari un po' più in là, più nascosto al primo sguardo. 

A volte mi fermo, mi guardo intorno. Alzo gli occhi e mi sembra che su quella strada io non ci sia mai passata.

Il contorno delle montagne sullo sfondo mi stupisce sempre, così imponente e così fiero. Pura roccia appuntita. Le colline più vicine che si dirigono mollemente verso le Alpi, mi tolgono il fiato. Hanno le curve morbide e voluttuose che si adagiano con fiducia ai piedi della roccia, la montagna. 

Sul calare della sera, scopro delle luci nuove sulle colline. Chissà di che paese si tratta... Non sono mai stata una grande conoscitrice del mio territorio. Eppure, quando scorgo quelle luci sulle colline, penso che lassù c'è vita, c'è una comunità, della gente che vive. 

Passo su quella strada tutti i giorni e noto un nuovo campo da frutta, di cereali o incolto. Una stradina di campagna che timidamente si affaccia sulla statale. 

Una mucca che rumina mi guarda con interesse da dietro il filo spinato a bordo strada. Chissà quando avranno messo quel filo e chissà se la mucca è contenta della sua nuova sistemazione. Non mi era mai accorta che alle spalle di quel filo spinato ci fosse una fattoria. 

In cielo è spuntata una stella più luminosa delle altre. Dove era stata nascosta fino ad oggi? 

Sono troppo distratta. Tengo sempre lo sguardo basso, sull'asfalto. Potrei sapere quante buche da evitare ci sono sparpagliate su di esso o da quante curve è composto. 

Molto probabilmente le altre cose si notano meglio quando si è seduti in auto sul lato del passeggero. 

Ma a piedi, è la stessa cosa. A volte, alzo lo sguardo e mi accorgo che hanno demolito una casa che stava tra altre due che sono rimaste in piedi. Al suo posto un mucchio di mattoni rotti e scomposti. 

Come era fatta quella casa? C'era! l'avevo vista quella! ma non me la ricordo. Di che colore era? Di quante finestre era composta la sua facciata? Aveva delle scale? Un balcone? 

Proprio non lo ricordo. 

Ho alzato lo sguardo, ho provato malinconia per quella perdita. Mi sono sentita in colpa perché quella casa non l'avevo mai osservata, forse qualche sguardo fugace e adesso?  So che stava li, ma ormai è solo fumo nella mia mente. 

In preda ai rimorsi finalmente non guardavo più il marciapiedi, avevo il naso all'insù, mi stavo guardando intorno, stavo guardando avanti. Ho aperto i miei orizzonti. 

Ecco perché non ho visto quel maledetto gradino. Un volo d'angelo in avanti con atterraggio d'emergenza sulle ginocchia e le mani. Un dolore atroce, calze strappate ed escoriazioni multiple.

La gente intorno che si ferma e mi osserva con un risolino nascosto sotto le sciarpe ed io che mi alzo fischiettando e facendo finta di nulla. 

Sguardo puntato a dove metto i piedi e se buttano giù un'altra casa, prima o poi un giorno  me ne accorgerò. 





martedì 28 dicembre 2010

Valeva la pena aspettarli...


C'è un treno che passa
la casa che trema
e il cielo si piega
su rovi d'attesa
e un brivido corre
lungo tutta la schiena
sono anni di merda
forse un livido appena

è la vita che passa
è il tuo cuore che trema
è il mio corpo a piegarsi
sui tuoi nervi di tela
sono rami le ossa
e una foglia è già morta
non arriva più l'aria
alla testa

che importa a noi?
che importa poi?
tanto il tempo
passa e passerà
come il treno andrà
verso un'altra direzione
che nessuno mai saprà
che importa a noi?
che importa poi?
tanto il treno
passa e passerà

c'è un treno che passa
tra i ricordi e la schiena
si colora di sangue
questo cielo di sera
e si tuffa nel fango
come fossi crema
io rimango nell'ombra
disegnato su tela

è la vita che passa
è il tuo culo che trema
è il mio corpo che annega
in un mare di cera
son cristallo le ossa
muore l'ultima foglia
e questi anni di merda
sono un livido appena

è la vita che passa
è il tuo cuore che trema
è il mio corpo a piegarsi
sui tuoi nervi di tela
sono rami le ossa
e una foglia è già morta
non arriva più l'aria
alla testa
che importa

non ne vale la pena
più di partire
non ne vale la pena
io non voglio morire
tra i fantasmi di turno
io non voglio sparire
tra i fantasmi d'autunno
voglio solo dormire
come fa nell'autunno
quest'estate già spenta
nei tuoi occhi si è spenta
come questo treno che passa

c'è un treno che passa
questo treno che passa
c'è un treno che passa
noi...


martedì 14 dicembre 2010

Stanco della solita routine? Il ritorno...















Dai in mano ad una povera impiegatucola un Vito Mercedes  e lei ve lo trasformerà in una Panda 4x4, se va bene. Se va male, in un ammasso di righe orizzontali o verticali. Se va peggio, in un ammasso di lamiere accartocciato, dico io. 

Ecco la storia.

Mi telefona il capo, stavolta il giorno prima. "Senti, ti andrebbe di consegnare dei formaggi. Fanno degli assaggi. Bisognerebbe andare agli ospedali di Mondovì e Ceva... ". Naturalmente ti hanno insegnato ad essere disponibile sul lavoro e rispondi di si. 

Così il giorno dopo uno va a lavorare già psicologicamente pronto. Ma mai abbastanza pronto.

Prendo il mio amico Vito e parto. Arrivare a Mondovì non è un problema, a parte i 60 km di strada con il sole basso e accecante in faccia. Gli occhiali da sole e il coso che si abbassa in auto per ripararti dai raggi, non sono abbastanza. 

Arrivo a Mondovì e l'ospedale è ben segnalato. Un complesso nuovo e fighissimo. Un gioiellino dell'architettura post moderna. Di quelli che hanno un buco in centro e i vari piani che si affacciano su 'sto buco. Guardandolo dal basso il soffitto sembra altissimo, mentre se sei sui piani alzi il braccio e lo puoi toccare. Così, cammini con la testa abbassata, per paura di sbattere contro un neon. 

Seguo il cartello "entrata fornitori". Arrivo in un parcheggio nel bel mezzo del nulla. Non un ingresso, non un magazzino, non un cartello "scarico merci". 

Chiedo all'operaio catarinfrangente. Lo disturbo mentre sta lavorando appoggiato alla ringhiera con le mani incrociate. Non sa rispondere. 

Scorgo un tizio che sembra un vigilantes perché ha un giubbotto bombato e delle etichette in stoffa attaccate sopra all'indumento. Il signore gentilmente mi accompagna fino alle cucine,  che sono al termine di una serie di corridoi che girano prima a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra. Avrei dovuto portarmi il formaggio dietro e seminarlo come Pollicino, per   ritrovare la strada. 

Il signore gentile mi abbandona, busso alle porte della cucina, ma nessuno mi apre. Allora chiedo alle signore delle pulizie ammassate in una stanzetta dall'altra parte del corridoio. Le tizie in malo modo mi rispondono che non sanno nulla. Tra le righe c'erano le parole "che cazzo ne sappiamo. Non rompere". Mi si avvicina un signore, che mi accompagna fino alla sala mensa, dicendomi che forse li avrei trovato qualcuno. 

Morale della favola: se sei una donna, non chiedere mai indicazioni ad altre donne. Chiedi agli uomini, che sono gentili e ti accompagnano. 

Imparando dalle favole, mi sono solo più rivolta agli uomini. Arrivata in sala mensa, trovo due tizi che mi dicono che i signori delle cucine arrivano con il cibo già pronto, quindi lo preparano da un'altra parte. Per sicurezza mi indicano il modo per arrivare alla reception dove sicuramente avrebbero saputo darmi una risposta. 

La signorina della reception che deve essere gentile per mestiere, fa un paio di telefonate e mi dice: "le cucine sono a Mondovì Piazza, nel vecchio ospedale". Mi spiega la strada per arrivarci e mi spiega la strada per uscire dall'ospedale: "Segua le indicazioni per il pronto soccorso!".  Al terzo bivio ho rischiato di ritrovarmi in una sala operatoria. Gentilmente mi accompagnano all'uscita, seguita da un calcio in culo. Era una donna. 

Esco dall'ospedale. Seguo le indicazioni ed arrivo al semaforo. Dovevo girare a destra o a sinistra? Dopo il semaforo avrei dovuto seguire i cartelli stradali. Giro a destra. Finisco in mezzo alla campagna. Nessuno cartello che mi indicasse la via. Mi sa che dovevo svoltare a sinistra. 

Ritorno indietro, cercando di fare manovra con Vito in una stradina di campagna... Finalmente trovo un cortile, entro in questa casa privata faccio inversione ad U tirando il freno a mano e trono indietro. 

Chiedo ad un vecchietto che mi dice: "vada dritto, alla seconda rotonda giri a destra. Li ci sono le indicazioni per Mondovì Piazza". 

Seguo le indicazioni del nonnino e dopo la seconda rotonda trovo le indicazione per l'ospedale. Mi dico: sarà l'ospedale vecchio di Piazza. Le seguo. Non mi ritrovo di nuovo al punto di partenza????

A 'sto punto i coglioni cominciano a girarmi. Scusatemi il termine "girarmi". Ritorno indietro e ripercorro la strada indicatami dal vecchietto. Nessun cartello con scritto "piazza". Richiedo informazioni e mi indicano un'altra strada. 

Finalmente 'sti benedetti cartelli che mi indicano la via. Peccato che comincio ad inerpicarmi su per le stradine medioevali concepite per i muli ed i carretti e non per il mio Vito.  Strade a senso unico, stette e divieti vari tra cui enormi "sensi vietati". Non so perché, nel medioevo, non abbiano mai pensato a fare strade a doppio senso di marcia. Arrivo su una Piazza, davanti ad una chiesa. Vicolo cieco. L'unica via di fuga un'enorme scalinata. 

'Ndò cazzo sta 'sto ospedale vecchio??? a detta di una signora quasi asfaltata sul ciottolato me lo sarei dovuta trovare di fronte appena arrivata in cima alla strada. 

Una piazza,  un'enorme scalinata, una chiesa, due nonnini. 

Chiedo ai nonnini. 
I due nonnini cominciano a disquisire su quale fosse la strada migliore da indicarmi. Come se stessero discutendo di politica, uno comincia a perorare la tesi che era più facile per me tornare indietro (ricordatevi della strada medioevale stretta e ripida) perché l'ospedale si trovava in fondo alla strada. "Ci è passata davanti signorina, non lo ha visto?".
L'altro signore invece non era d'accordo: "è senso vietato a scendere!". "Ma se le facciamo fare il giro lungo, la signorina si perde di nuovo! Poi ho già visto scendere almeno 5 auto". Giustamente. "Senta signorina, mi ascolti. Torni indietro lentamente, faccia attenzione perché è senso vietato. Se va a bocciare ha poi torto marcio. L'ospedale è infondo alla strada, tenendo la sinistra". 

Cosa faccio io? Se sono scese 5 auto contro mano, io faccio la sesta. Appena faccio per imboccare la strettoia, una enorme BMW nel senso giusto mi blocca la strada. Dietro di lei altre 6 auto. Faccio retromarcia,  dicendo parolacce in turco, armeno, austrogoto: "dkhoesms dieksejro eownewoerjo!!!!!!". 

Vedo spuntare i miei due nonnini che con spirito impavido e coraggio da leoni, vanno fino alla strettoia. Fanno passare le auto e da bravi vigili mi indicano la via libera. Parto in sgommata e mi ficco in contromano giù per la strada. 

Arrivo in un piazzale. Un edificio abbandonato. Le porte sprangate. Ma dove saranno le cucine? Faccio il giro perimetrale, a piedi. Non un segno di vita. Ci mancava l'uomo con la motosega che mi arrivava alle spalle ed avrei concluso la giornata in bellezza. 

"dksejoeio dsieorneo doiseoaeoa!!!". Decido di telefonare al mio capo: "kdoseneo eiowehr ewoeiwoei!!! 'sto ospedale non esiste, non si trova! torno indietro con i formaggi!!! diseonfeo ieruoeureh eudeoeoeo!!!".  Chiudo la conversazione, mentre l'altro balbetta un: "se se li, continua a cercare..."  

Prendo il furgone, faccio per tornare indietro e guardalo lì, come un'oasi nel deserto! Un vecchio palazzone dell' 800. Chiedo ad una signora che mi dice che le cucine sono infondo al cortile. 

Appena vedo il cuoco: apro il furgone, scarico le tume e vaffanculo! 

Riparto in sgommata con i nervi a fior di pelle. 

Comunque una cosa ho imparato, i nonnini sono meglio del ton ton. E per la cronaca, il furgone è tornato integro a casa. 








martedì 7 dicembre 2010

W l'autocultura!


 








Alle superiori sono stata molto sfortunata con i professori di lettere. Tra una professoressa noiosa a morte, un pazzo furioso ed una maniaca depressiva, la mia cultura letteraria si è fermata a "Cappuccetto Rosso" e "Biancaneve e i sette nani". Avrei tanto voluto arrivare almeno a "Cenerentola", ma non era nei programmi scolastici.
Così, una volta finite le superiori, mi sono dedicata da autodidatta ai grandi classici, quelli che in teoria dovrebbero farti studiare a scuola.


Se sei costretto a leggere "I Malavoglia" di Verga  perché te lo dice un'insegnante è un conto, ma se leggi "I Malavoglia" di tua spontanea volontà, è cultura sadomasochista.
Come si può concepire un romanzo come "I Malavoglia" dove tutti quei poveri cristiani che cercano un riscatto sociale, una via di fuga alla miseria economica, matematicamente subiscono una sfiga? O meglio, subiscono la "fiumana del progresso"?


Il padre muore in mare durante una tempesta giusto dopo aver intrapreso una nuova attività:  la vendita dei lupini. Un figlio si butta nella carriera militare e muore in guerra. Una figlia si trasferisce in città e comincia a fare la prostituta. Un'altra,  di nome Mena, deve badare alla famiglia e nonostante un bravo ragazzo le facesse la corte, rifiuta, perché? Perché deve badare alla famiglia. L'altro fratello rimane alla casa del Nespolo, si sposa, ha figli e tiene la sorella, Mena, come badante. E' l'unico a cui la vita gli vada bene perché rimane attaccato alla sua terra. La storia delle cinque dita che se si staccano dalla mano vanno in putrefazione, non fa una piega. 


Quando alla fine del libro il povero Compare Alfio di cui Mena è innamorata torna alla carica e le chiede nuovamente di sposarla, questa che fa? lo rifiuta! Perché? A 27 anni è ormai vecchia... Ma va a cagare! 


Insomma, Verga era un classista. Se nascevi povero morivi povero e felice. Se da povero cercavi di tirare su due soldi in più a fine mese, beh... morivi sempre povero, ma con atroci tormenti. Dipende da come volevi morire, se felice o tormentato. 

Sempre per essere sadomasa, di Verga ho anche letto "Storia di una Capinera", da quel giorno ho odiato Verga dal profondo e non ho più letto un suo racconto.  Povera Maria... 

Così mi sono buttata su Guy de MaupassantLa mia sorellona teneva un paio di libri di questo autore ben nascosti nel fondo di un cassetto. Siccome lei teneva sempre degli Harmony celati da qualche parte, siccme io li leggevo a sua insaputa e siccome pensavo che Guy fosse un autore di romanzi rosa porno, mi sono buttata allegramente nella lettura di "Una vita"

Dalle prime pagine ho pensato che fosse un Harmony un po' più sofisticato, ma continuando nella lettura ed usando tutto il mio acume ho capito che no, non era un romanzo rosa. Questo romanzo finiva decisamente male. Di solito i romanzi romantici, finiscono bene. Ho pianto come una fontanta, dall'inizio alla fine per quella povera Giovanna maltrattata da tutti, pure dal figlio. 


 Non paga ho letto anche il secondo libro di Maupassant nascosto nel cassetto: "bel ami". La storia di uno stronzo arrivista che usava le donne per raggiungere i suoi scopi. Non ricordo se alla fine il protagonista sia morto, ma spero tanto di si. 

Ho prestato Maupassant alla mia migliore amica che da allora è diventata una "emo", una cultitre della tristezza. Il passaggio da questo romanziere al cantautore Sergio Cammariere per lei è stato breve. Ora è rinchiusa in una comunità di disintossicazione, le fanno ascoltare Giuliano Palma dalla mattina alla sera.


Per non farmi mancare nulla ho letto anche "Madame Bovary" di Flaubert. La storia di una tipa che passava il suo tempo a leggere Jane Austin e quando ha capito che suo marito,  un povero medico di campagna, non assomigliava assolutamente a Darcy, ha deciso di cornificarlo. 
Per fortuna ho smesso anche io di cercare Darcy  tra gli uomini, altrimenti oggi farei la stessa fine di Emma Bovary, stroncata dall'arsenico. Ops... forse non avrei dovuto dire come andava a finire questo romanzo, ma sicuramente lo avrete letto tutti!  


Comunque, Jane Austin è la migliore scrittrice di Harmony della storia! 


Lasciando da parte gli harmony ed i romanzi cosi detti realisti, mi sono data al noir. Agatha Cristie è stata una gran delusione, Arthur Conan Doyle una palla mostruosa ed Edgar Allan Poe? I suoi "racconti del terrore" non facevano per niente terrore. Non so come si spaventasse la gente nell' 800, ma sicuramente oggi  è più inquietante svegliarsi al mattino accanto a Valeria Marini struccata o ritrovarsi in un party ad Arcore a fare il "bunga bunga" con Berlusconi.

Per rendere giustizia a Poe, mi ha terrorizzato parecchio quella storia dove racconta di gente seppellita. Quando riaprono le tombe, scoprono che il coperchio della cassa è graffiato e la gente sepolta ha una posizione contorta e lo sguardo terrorizzato. Insomma, gente sepolta viva. C'è 'sto tipo che soffre di catalessi e....tremo solo al pensiero.

Oggi vado matta per i thriller. Se un libro non ha come titolo "Un codice e qualche cosa", beh... non lo leggo. Ho perso la vena romantica e quella depressiva, adesso passo direttamente all'omicidio!  

martedì 30 novembre 2010

Stanco della solita routine?
















Ci sono giornate nelle quali ti svegli convinto che siano giornate tranquille, di quelle dove non può accadere nulla di nulla. Nessun incontro con l'amante, nessun incontro con il tuo migliore amico,  nessuna vincita  al super enalotto, nessun stravolgimento particolare insomma una giornatina  dove la normale routine e la noia la faranno da padrona. Ti alzi, vai a lavoro  e svolgi le tue funzioni come una macchinetta programmata.
Quella mattina sei in auto, mentre canti una canzone dei Negramaro e ti telefonano. Nella tua convinzione che sarà una giornata tranquilla, lo squillo del cellulare è già un fuori programma, un'anomalia nella procedura. 
Rispondi,  mentre sei al volante. Un'altra anomalia sarebbe incontrare i Carabinieri lungo la strada, ma non sono contemplati nell'elenco delle cose che stravolgeranno la tua giornatina tranquilla.
Dall'altro capo del telefono ti chiedono di andare ad una riunione sulla "prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro". Politici, tecnici e funzionari pubblici ti aspettano per menartela due ore. 
Entri nella sala riunioni della provincia. Nessuno ti caga se non la ragazza addetta alla reception.
Dai i tuoi dati ed appena dici l'azienda per la quale lavori, si avvicina il direttore dell'evento che aveva telefonato al tuo capo per invitarlo caldamente a fare numero tra le file degli auditori e rivolgendoti un sorriso tirato constata che il tuo capo ha caldamente invitato te ad andare a fare numero. 
Sei ancora convinto che la tua giornata sarà noiosissima e lo deduci dal tizio che dietro di te si è addormenato e non si preoccupa di evitare di russare sonoramente. Almeno tiene sveglio te che eviterai di russare a tua volta. Ascolti due minuti i soliti discorsi in politichese e la tua mente comincia a vagare, finchè il cellulare che hai dimenticato di mettere in modalità silenziosa comincia a suonare la trasformazione di Sailor Uranus, Pluto e Neptune.Tutti gli occhi sono puntati su di te. Tu fai finta di niente e fischiettando esci dalla sala riunioni. Dall'altra parte del telefono la tua collega disperata ti riferisce che hanno telefonato chiedendo la compilazione di certi documenti entro l'una. Sono le 11.20.  Non ti sono arrivati via mail due giorni fa? Ti fossero arrivati via mail due giorni prima, molto probabilmente, avresti già inviato la documentazione.

Senti una certa irritazione ed allora rispondi male alla collega dicendole che sei a km di distanza e che certo, quei documenti non li puoi compilare. Questa ti dice che non è capace, non lo ha mai fatto. Sarai mica scema? le fai notare. Ma ti rendi conto che si, è scema.
Giri di telefonate, mail con i documenti che continuano a non arrivare. E' mezzogiorno. Abbandoni la conferenza sugli infortuni sul lavoro e ti lanci con la tua auto sulle strade. Chissà se queste cose sono contemplate nella prassi sulla prevenzione e sicurezza sul lavoro.
Vai da uno che conosci. E' sulla strada. Gli chiedi di prestarti il computer ed il permesso di utilizzare internet. I documenti arrivano alle 12.40. Cominci a lavorare a distanza, modificando i moduli, chiedendo dati via telefono e sclerando perchè dall'altra parte non sono veloci abbastanza.
Mal di testa, irritazione, sclero, voglia di uccidere.... questo è quello che provi.Finalmente, alle 13.15 consegli il materiale alla tua collega che deve solo farlo firmare.
Le telefoni per chiederle se tutto è ok. Lei ti risponde che lei doveva andare a preparare pranzo al figlio, così ha chiesto se poteva inviare i documenti alle 14.30 e le hanno risposto affermativamente.
Ti sei sbattuto come un cretino e scopri che potevi andare tranquillamente in ufficio, compilare i moduli ed inviarli.
Corri in ufficio e ti occupi del tutto. Chi voleva i documenti ti fa sapere che vogliono gli originali, quindi devi correre a portarglieli, perchè loro devono portarli entro le 17 da un'altra parte.
Corri a portarglieli.
Mancano dei dati. La tua collega non ti ha detto che glieli abbiamo chiesti? NO, non me lo ha detto. Telefoni alla collega e fai notare la cosa. Quindi? Ti senti rispondere che ha controllato, ma sui documenti inviati, non era precisato dove inserire quei dati. Ma se te hanno chiesto di inviarglieli a parte!!!  Le dici di telefonare al commercialista e di farseli dare.Che si sbatta anche un po' lei...

I documenti sono stati consegnati, sono le 17.30. Vorresti andare a casa, ma no. Devi andare nel punto vendita della tua azienda ad aiutare la commessa rimasta sola e devi stare li  fino all'orario di chiusura. 
Alle otto di sera arrivi finalmente a casa, con una gran voglia di commettere un omicidio un gran mal di testa ed il desiderio che il giorno dopo sia una noiosissima giornata  dalla solita routine. 


lunedì 15 novembre 2010

Provocazione o Maschilismo?















Grazie mille, cosa posso fare per ringraziarti, posso darti un bacio? 
Che ne dici, andiamo a prendere un caffè insieme? 
Sguardo sicuro di chi sa di potere ottenere tutto, di chi non sa cosa significhi la parola "NO". 
Io sono figo e mi sono accorto di te. Ti sto guardando, solo per questo dovresti adorarmi perché esisto! Strappati i capelli perché io mi sono accorto di te, misera femmina. Ti do l'onore di ricevere un bacio da me!!! Ti do l'onore di farti vedere in giro con me. Allora, cosa significa "NO!"? 

Ma chi ti credi di essere, brutto stronzo?
Sai cosa significa "no" o "no, grazie" e ancora "non rompere"? Come ti permetti di afferrarmi per un braccio? Cosa significa che dici sul serio quando parli di darmi un bacio? Cosa ti fa credere che io stia spasimando per averlo? Che è quel sorriso da "granfigo"? 
Che irritazione di fronte a tanta spocchia! Meglio evitare di rimanere sola con lui nella stessa stanza. Per fortuna è in un altro reparto. Per fortuna lo vedo solo il giorno delle paghe. 
Odio la vista di quell'essere viscido, spocchioso e inutile! Quando lo incrocio per i corridoi si cambia direzione. 

Guardalo il granfigo, fa il granfigo con tutte. L'importante che respirino, ma anche loro cercano di evitarlo. Ma perché fa quel sorriso da uomo magnanimo che elargisce sguardi e parole dolci a misere femmine che non aspettano altro? Si, perché lui sa che le misere femmine non aspettano altro. 

Io non aspetto altro. Certo non aspetto altro che ti licenzino, che tu vada via. Inetto! idiota! presuntuoso!

Capo, Tizio non si comporta bene! 
Ma lo sai, per lui sei una conquista difficile, la cosa lo galvanizza. 
Ma che cazzo dici, capo?
Capo, ma io non sono una conquista difficile, non ci sono proprio speranze. E' inutile che si monti la testa o si galvanizzi. Non sto utilizzando nessuna tattica! 
Sei una ragazza piacente, poi vai in giro a provocare.... 
Vado in giro a provocare?

Maglioni dolcevita, jeans, scarpe da tennis. Dire sempre "no". Aggiungere "non rompere", è provocare? 
Ma andassi anche in giro con minigonne inguinali e scollature vertiginose, uno è giustificato a rompermi le palle quando ho detto "NO"!?

Ti hanno vista in giro a prendere un caffè con lui!
Quando? Dove? Chi lo ha detto? Chi ha detto una bugia del genere? 
Poi, se prendessi un caffè con un collega, è provocare? 

Se mi trovassero piena di lividi, in un angolo a piangere. La colpa sarebbe mia perché sono io che provoco? Era meglio dire di si?

Se io non ti do il permesso tu non mi tocchi, nessuno mi tocca! La colpa non è mia se tu questo non lo capisci. 



giovedì 11 novembre 2010

Dal dottore













La scorsa settimana sono andata dal Dottore. 

Mi sono accomodata nella sala d'attesa per fare la coda. Guardo l'ora, le 12.05.  Ero l'unica a fare la coda. Nessuno davanti e nessuno dietro. Che culo! 

La porta dello studio era chiusa. Busso? Starà visitando?

Mi avvicino alla porta dello studio ed allungo l'orecchio. Dall'altra parte provengono delle voci. Allora starà visitando... penso.  Mi riaccomodo sulla sedia. Mi guardo in giro, tiro fuori il cellulare, mando due sms, guardo verso la porta dello studio, non si apre. Guardo l'ora, le 12.10.

Già cinque minuti di attesa. Ma quanto ci mette? 

Mi riguardo in giro, ritiro fuori il cellulare, riscrivo altri due sms, riguardo l'ora. Le 12.15. 

Penso che devo ancora andare dal panettiere, in lavanderia e dal tabaccaio. Tutti chiudono alle 12.30. 

Un'occhiata verso la porta dello studio. Mi avvicino nuovamente ed allungo l'orecchio. Non riesco a captare il significato delle parole, ma evidentemente la visita sta continuando. 

Esco. Vado in lavanderia. 

"Le ho solo stirato la gonna, mi manca l'altro completo. Vuoi passare un'altra volta?"
"ma quasi prendo già la gonna".
"Vado a prenderla!". 

Vado dal panettiere. Due signore davanti a me. Una prende una micca e due panini, l'altra prende due schiacciate. Io faccio il mio ordine.

Vado dal tabaccaio e compro un giornale. Ritorno dal dottore. Le 12.40.

Mi siedo e mi metto in coda con me stessa, sempre l'unica presente in sala d'attesa. Ritorno alla porta dello studio e appoggio l'orecchio sulla porta. Se non sento nulla, busso.
Stavolta sento con chiarezza: "dovresti fare più attenzione!". E' il mio dottore che parla. Una risatina di risposta. 

Mi allontano. Mi risiedo, sfoglio il giornale, guardo l'ora: le 12.50. Mi spazientisco. Decido di andare a casa. 

La porta dello studio si apre. Esce una donna sui quarant'anni. Un po' di rossetto sbavato, la gonna stropicciata,  delle buste da raggi sotto il braccio. Mi sorride e mi dice: "adesso è il suo turno!". 
Alle sue spalle il dottore si aggiusta il camice, la cravatta e si passa una mano tra i capelli per sistemarli. 

"Avanti!"

Non sarà mica il giorno dedicato alle lezioni di anatomia? 

"Torno un altro giorno, si è fatto tardi!" 






giovedì 4 novembre 2010

La notte delle streghe















Un mio amico che organizza spettacoli teatrali mi ha chiesto se avevo voglia di partecipare ad una manifestazione come attrice. 

La suddetta manifestazione consisteva in un itinerario dell'orrore, dove le persone avrebbero fatto un percorso disseminato di fantasmi, mostri, vampiri, non morti e quant'altro avesse fatto paura. Naturalmente interpretati da attori di una compagnia seria di teatro. 

Io entusiasta ho accettato.
"Cosa dovrei fare?"
"la morta!". 

Tutti i più grandi attori hanno cominciato interpretando almeno una volta nella vita il morto....

Comunque, fare il morto non è facile. Devi stare fermo, non respirare e soprattutto, non ridere.

Con professionalità ho interpretato il ruolo. Dovevo stare tra le braccia di un attore. Lui diceva la sua parte e quando arrivava al punto io saltavo su all'improvviso cacciando un urlo terribile. 

E' stato molto divertente spaventare la gente. Ci sono riuscita perfettamente.
Ma la cosa più gratificante è stata quando mi è stato detto: "avrai sicuramente un futuro come morta!".  


giovedì 28 ottobre 2010

Chiacchierata con l'operatore telefonico


 











Drin, drin, drin, drin.

Alzo la cornetta: "Il Caso Raro, buongiorno!".
Dall'altra parte: "buongiorno chiamo dalla Wind. Posso parlare con lei?"
Io: "Mi dica". 
"Le volevo confermare che domani arriveranno, tramite corriere, i due cellulari in omaggio in seguito al nuovo contratto. Dove li facciamo consegnare? All'indirizzo Piazza Vattelapesca n. 18?"
"No, meglio consegnarli presso il nostro punto vendita in Via Bettino Craxi, 69. Lì c'è sempre qualcuno". 
"Prendo nota. L'insegna cosa dice?"
"Punto Vendita de Il Caso Raro".
"l'indirizzo della fatturazione?"
"Piazza Vallelapesca n. 18"
"Quindi cambia. Può telefonare al 1928 e comunicare l'indirizzo per la fatturazione?"
Io: "Va bene!"
E mentre penso: "che palle...".

1,9,2,8

Tu, Tu, Tu, Tu. 

"Wind buongiorno, sono Annunziata Concettina, come posso esserle utile?"
"Sono dell'azienda Il Caso Raro. La sua collega mi ha detto di chiamare a questo numero per comunicare l'indirizzo per fare una fattura".
Attimo di silenzio.
Tono irritato: "scusi, perché chiama?"
Ripeto ed aggiungo: "per fatturare due cellulari che ci invierete in omaggio".
Attimo di silenzio.  Io mi irrito: "senta è la sua collega che mi ha detto di telefonare a sto numero per riferire l'indirizzo". E tra le righe: se fosse stato per me non avrei telefonato. 
Tono acido: "Non so a cosa si riferisce".
Io con tono strafottente: "beh, quando avrete bisogno di fatturare e dell'indirizzo sarete voi a chiamare". 
La tipa dice:"un attimo".
Rumore di dita sui tasti del computer.
Stavolta tono di voce accondiscendente: "l'indirizzo è Piazza Vattelapesca n. 18?"
Io: "Si".
Annunziata Concettina con tono saccente: "allora abbiamo già tutto! I cellulari le arriveranno domani mattina."
Io: "Grazie"
Lei: "Grazie a lei. Felice di esserle stata utile".

Ma va a ...... 

mercoledì 27 ottobre 2010

Diario di viaggio: il mondo Giappone (secondo giorno)



VENERDI' 08  OTTOBRE 2010


Akihabara o meglio Akìhabàrà. 
Il paese dei balocchi, la zona di Tokyo dei divertimenti, dell'elettronica, dei manga e dei pupazzetti.
























Piani e piani di prodotti elettronici: computers, macchine fotografiche e cellulari di ogni specie e genere. Tutta tecnologia con almeno dieci anni di anticipo rispetto a noi. 
Il mio amico Chano aveva comprato una macchina fotografica reflex giapponese di ultima generazione (così lui credeva) all'inizio di quest'anno. In Giappone avevano già due nuovi modelli, Chano aveva una macchina fotografica ormai passata di moda. 







Piani e piani e piani di solo manga, i fumetti giapponesi. 










































Manga per le ragazzine, gli shojo. Amori tra i banchi di scuola e studentesse vestite alla marinaretta.

Manga per i ragazzini, gli shonen. Sangue, spade, violenza, ogni tanto una mutandina che spunta da sotto la gonna a pieghe delle studentesse vestite alla marinaretta. 

Manga per omosessuali, dove gran figaccioni abbracciano e ammiccano a dei ragazzini timidi ed indifesi e snobbano le ragazzine vestite alla marinaretta. 

Manga per lesbiche, dove le ragazzine timide, vestite alla marinaretta, hanno le guanciotte rosse, gli occhi che luccicano e le ragazze più spigliate leccano loro le orecchie e le tengono su le tette. In Giappone le ragazzine timide e lesbiche hanno problemi di gravità alle tette, quindi ragazze più sveglie di loro, sentono l'esigenza di tenergliele su. 

Manga per chi ha disturbi sessuali o problemi con il sesso. Manualoni per insegnare a come si fa all'ammmore e tanti ragazzini che perdono sangue dal naso ogni volta che vedono una mutandina. In questi fumetti le ragazzine vestite alla marinaretta adorano indossare camicette più piccole di tre taglie facendo in modo che le tette abbiano una gran voglia di liberarsi da tale tortura. Effetto esplosione. 

In più ci sono manga ambigui dove un ragazzino con il viso da ragazzina ha un enorme coso che gli spunta da sotto le mutande......... No comment. 

Nel mondo Giappone, dove gli uomini  funzionano come delle macchinette, dove niente è fuori posto, esistono questi quartieri.
Da perderci giornate e giornate. 
Non per nulla è stato il posto di Tokyo che più hanno preferito i miei compagni di viaggio maschietti. 

Sempre ad Akihabara era possibile scorgere delle ragazzine che distribuivano volantini per locali e caffè,  vestite con gonne corte ed ampie, un grembiulino, tacchi a spillo, gambaletti e delle cuffiette da cameriera in testa. 
A Tokyo sono delle studentesse che si guadagnano la pagnotta onestamente, in Italia sarebbero scambiate per delle prostitute. 























E ancora, piani e piani di pupazzetti. Per fortuna costavano un occhio della testa, altrimenti li avrei comprati tutti!!!




In un negozio dove vendevano abiti da cosplayers  ho chiesto di poterne indossare uno da provare. Il commesso ha incrociato le braccia una sull'altra, formando una X.
Mi sono sentita scacciata come un vampiro viene scacciato da un prete con una croce in mano. Mi sono sentita rifiutata come il più orrendo degli esseri umani. Insomma, rimbalzata. 
Mi sono quasi offesa, quando ho ricordato di avere letto sulla Lonely Planet che in Giappone, per dire no, incrociano le braccia o gli indici in modo da formare una X. 
Certo che è un gesto veramente forte. Se non ne conosci il significato, ti senti veramente rifiutato e offeso. 
Ci è mancato poco che ci lasciassi una lacrimuccia. 

Ma finalmente le ho viste, dal vero. Le ragazzine vestite alla marinaretta. Le ho adorate. 
Allora si che mi sono accorta di vivere veramente in un manga che racconta la storia di una terrestre che sbarca sul pianeta Giappone. 










lunedì 25 ottobre 2010

Diario di viaggio: il mondo Giappone (primo giorno)







GIOVEDI' 07 OTTOBRE 2010


  • Partenza da Milano Malpensa alle ore 15.30 del 06 Ottobre con volo Emirates. 
  • Arrivo all'aeroporto di Narita alle 18.00 ora locale, ore 11.00 in Italia. 

Dopo aver sorvolato in ordine la Croazia, la Grecia, la Turchia, l' Iraq, l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l'Iran, l'Afganistan, il Pakistan, il nord dell'India, la catena dell' Himalaya, la Cina, La Corea del Nord e poi del Sud, siamo infine atterrati nel mondo Giappone. 

Stavo facendo mente locale sugli Stati attraversati di cui sopra, è un miracolo che non siamo stati colpiti da un missile terra/aria.  

Mi sa che se Marco Polo, al giorno d'oggi, dovesse rifarsi la via della seta fino in Cina a bordo di un asinello, troverebbe delle leggere difficoltà. Meglio un Boeing 777 o in giapponese "Boeing nana nana nana". 

Una volta atterrati, scopriamo di non avere preso un aereo ma uno shuttle che dal misero pianeta terra ci ha trasportato sul mondo Giappone. Un altro pianeta! 

L'inchino del poliziotto locale, all'uscita dall'aereo, ci trasporta in questo nuovo mondo.

Ok, dove dobbiamo andare? Per fortuna un po' d'Inglese ci viene in soccorso. 

Prima cosa, ritiriamo le valigie. 

Il nastro già girava insieme ai bagagli, sopra un ragazzo in pantaloni e camicia che tenendo un cartello scritto in inglese, urlava in giapponese mentre si faceva trasportare insieme alle valige. Sul cartello c'era disegnata una valigia e delle frecce che indicavano le distanze da mantenere dal nastro trasportatore. Ancora oggi non ho capito l'utilità della cosa. 

Sto tipo urlava in giapponese, mentre noi lo guardavamo per vedere se prima o poi sarebbe caduto trasportato dal nastro in maniera fantozziana. 

Seguiamo le indicazioni e ci troviamo alla dogana. Ci controllano il passaporto, ci prendono le impronte digitali, ci scattano una foto. La tipa della dogana andava a gesti, io non la capivo e Chano dietro di me mi aiutava con l'interpretazione dei gesti. Naturalmente sbaglio uscita e la tipa in fluente giapponese mi dice di tornare indietro. Meglio, me lo fa capire a gesti. Incazzosi i giapponesi quando esci dagli schemi... 

Seguiamo l'uscita e ci troviamo in una specie di saletta senza vie di fuga, solo due porte da ascensore. Quando questi si aprono dietro c'è una navetta senza guidatore che parla da sola. 

Parla in giapponese ed in inglese. La prima non la capiamo e per la seconda andiamo ad intuito cogliendo le parole salienti. 

La navetta ci porta al terminal di arrivo. 

Dovremmo scambiare il nostro ceque della Japan Rail Pass con il vero JR pass. Il JR pass ti permette di prendere il 90% dei treni giapponesi su qualsiasi tratta, facendoti risparmiare parecchio. Riusciamo a trovare l'ufficio dopo che una serie di gentili giapponesi ci indicavano le direzioni con ampi gesti e inchini. 

Finalmente prendiamo il Narita Express che ci avrebbe portato fino a Shinjuku. Da Shinjuku dovevamo prendere il treno della Yamanote Line che ci avrebbe portato fino a Ikebukuro, sede del nostro hotel. 

Panico. 

Sullo stesso binario, ogni 5 minuti, arriva un treno. Come fai a capire quel' è il treno che devi prendere? semplice, dal nome del treno e dall'orario. Soprattutto per l'orario.  
I treni giapponesi sono puntuali, tanto che il detto "puntuale come un orologio svizzero" è caduto in disuso lasciando posto al "puntuale come un treno giapponese". 
Se alle 19.22 deve partire il tuo treno, alle 19.21 arriva e alle 19.22, cascasse il mondo Giappone, quello parte! 

Sul tuo biglietto avevi indicata la carrozza. Ad esempio la carrozza numero 8. Sulla banchina erano segnati i punti di arrivo delle carrozze. Se tu aspettavi all'altezza indicata sul marciapiedi la carrozza 8, giurato che davanti a te si aprivano le porte del treno della carrozza indicata

Sui treni giapponesi, ci sono dei computers che indicano il percorso e le fermate, scritte in Kanji (ideogramma = parola), in Hiragana (ideogramma = sillaba) ed in Romanji (le lettere latine). 

Arrivati a Shinjuku, cerchiamo di capire come prendere la Yamanote Line, la linea circolare che tocca i punti di maggiore interesse e traffico di Tokyo. 
Dopo vari giri e sali e scendi, riusciamo a trovare le indicazioni della Yamanote con due direzioni. Per fortuna mi ero scaricata la mappa delle fermate così siamo riusciti a capire la direzione da prendere. In più la linea era segnata con un verde brillante. 

Scesi ad Ikebukuro, dovevamo riuscire a trovare l'uscita giusta per trovare l'albergo. La nord? la sud? la est o la ovest?. Ikebukuro è una stazione enorme. Ci saranno state migliaia di persone la sotto. 
Un solerte ferroviere con ampi gesti e faccia molto seria ci indica l'uscita giusta. 

Fuori dalla stazione, c'era una cartina della zona. Il Fulmicotonato si avvicina ad essa cercando di capire da che parte girarsi. Sarà stata l'aria da coniglietto disperso, sarà stato il fascino dello straniero ma due giapponesine si sono avvicinate e in uno strascicato inglese gli hanno chiesto: "chen ai elp iu?" . Lui di rimando risponde: "no, tanks!" ed io dietro "Yes, yes". 
Sulla Lonely Planet c'è scritto che i giapponesi, se non ti sanno dare le indicazioni per il posto in cui vuoi andare, ti ci accompagnano. 
Legenda metropolitana? no, tutto vero.
Le prodighe giapponesi offrono al Fulmicotonato di accompagnarlo, intrattenendolo in un fluente inglese. Ad un certo punto si accorgono di me e di Chano e chiedono: "voi siete con lui?". 

Abbiamo rovinato la serata alle giapponesi e forse anche al Fulmicotonato. 

L'albergo trovato con tazza del cesso riscaldata, tasti per dirigere un getto d'acqua per la pulizia personale. Troppo avanti. 


Per cena: Ramen.




Arrivare in Giappone? fatto.
Prendere un treno nella direzione giusta? fatto. 
Trovare l'albergo? fatto. 
Sopravvivere al primo giorno? fatto.