mercoledì 29 dicembre 2010

Dove si dirige lo sguardo?













Percorro quella strada tutti i giorni ed ogni giorno è come se la percorressi per la prima volta. 

Quell'albero storto che sporge da dietro quel muro ha la forma di una mano tesa. Non me ne ero mai accorta.
E quella casa? da quanto tempo sta li? Non l'avevo mai notata. 
Per non parlare di quel cartello stradale e dell'insegna sopra quell'edificio: "cucine su misura". 
E quel bar? da dove è spuntato? 
Un prefabbricato già finito. Ma quando hanno iniziato a costruirlo? 
Percorro quella strada tutti i giorni ed ogni giorno qualcosa di nuovo spunta sul suo ciglio o magari un po' più in là, più nascosto al primo sguardo. 

A volte mi fermo, mi guardo intorno. Alzo gli occhi e mi sembra che su quella strada io non ci sia mai passata.

Il contorno delle montagne sullo sfondo mi stupisce sempre, così imponente e così fiero. Pura roccia appuntita. Le colline più vicine che si dirigono mollemente verso le Alpi, mi tolgono il fiato. Hanno le curve morbide e voluttuose che si adagiano con fiducia ai piedi della roccia, la montagna. 

Sul calare della sera, scopro delle luci nuove sulle colline. Chissà di che paese si tratta... Non sono mai stata una grande conoscitrice del mio territorio. Eppure, quando scorgo quelle luci sulle colline, penso che lassù c'è vita, c'è una comunità, della gente che vive. 

Passo su quella strada tutti i giorni e noto un nuovo campo da frutta, di cereali o incolto. Una stradina di campagna che timidamente si affaccia sulla statale. 

Una mucca che rumina mi guarda con interesse da dietro il filo spinato a bordo strada. Chissà quando avranno messo quel filo e chissà se la mucca è contenta della sua nuova sistemazione. Non mi era mai accorta che alle spalle di quel filo spinato ci fosse una fattoria. 

In cielo è spuntata una stella più luminosa delle altre. Dove era stata nascosta fino ad oggi? 

Sono troppo distratta. Tengo sempre lo sguardo basso, sull'asfalto. Potrei sapere quante buche da evitare ci sono sparpagliate su di esso o da quante curve è composto. 

Molto probabilmente le altre cose si notano meglio quando si è seduti in auto sul lato del passeggero. 

Ma a piedi, è la stessa cosa. A volte, alzo lo sguardo e mi accorgo che hanno demolito una casa che stava tra altre due che sono rimaste in piedi. Al suo posto un mucchio di mattoni rotti e scomposti. 

Come era fatta quella casa? C'era! l'avevo vista quella! ma non me la ricordo. Di che colore era? Di quante finestre era composta la sua facciata? Aveva delle scale? Un balcone? 

Proprio non lo ricordo. 

Ho alzato lo sguardo, ho provato malinconia per quella perdita. Mi sono sentita in colpa perché quella casa non l'avevo mai osservata, forse qualche sguardo fugace e adesso?  So che stava li, ma ormai è solo fumo nella mia mente. 

In preda ai rimorsi finalmente non guardavo più il marciapiedi, avevo il naso all'insù, mi stavo guardando intorno, stavo guardando avanti. Ho aperto i miei orizzonti. 

Ecco perché non ho visto quel maledetto gradino. Un volo d'angelo in avanti con atterraggio d'emergenza sulle ginocchia e le mani. Un dolore atroce, calze strappate ed escoriazioni multiple.

La gente intorno che si ferma e mi osserva con un risolino nascosto sotto le sciarpe ed io che mi alzo fischiettando e facendo finta di nulla. 

Sguardo puntato a dove metto i piedi e se buttano giù un'altra casa, prima o poi un giorno  me ne accorgerò. 





martedì 28 dicembre 2010

Valeva la pena aspettarli...


C'è un treno che passa
la casa che trema
e il cielo si piega
su rovi d'attesa
e un brivido corre
lungo tutta la schiena
sono anni di merda
forse un livido appena

è la vita che passa
è il tuo cuore che trema
è il mio corpo a piegarsi
sui tuoi nervi di tela
sono rami le ossa
e una foglia è già morta
non arriva più l'aria
alla testa

che importa a noi?
che importa poi?
tanto il tempo
passa e passerà
come il treno andrà
verso un'altra direzione
che nessuno mai saprà
che importa a noi?
che importa poi?
tanto il treno
passa e passerà

c'è un treno che passa
tra i ricordi e la schiena
si colora di sangue
questo cielo di sera
e si tuffa nel fango
come fossi crema
io rimango nell'ombra
disegnato su tela

è la vita che passa
è il tuo culo che trema
è il mio corpo che annega
in un mare di cera
son cristallo le ossa
muore l'ultima foglia
e questi anni di merda
sono un livido appena

è la vita che passa
è il tuo cuore che trema
è il mio corpo a piegarsi
sui tuoi nervi di tela
sono rami le ossa
e una foglia è già morta
non arriva più l'aria
alla testa
che importa

non ne vale la pena
più di partire
non ne vale la pena
io non voglio morire
tra i fantasmi di turno
io non voglio sparire
tra i fantasmi d'autunno
voglio solo dormire
come fa nell'autunno
quest'estate già spenta
nei tuoi occhi si è spenta
come questo treno che passa

c'è un treno che passa
questo treno che passa
c'è un treno che passa
noi...


martedì 14 dicembre 2010

Stanco della solita routine? Il ritorno...















Dai in mano ad una povera impiegatucola un Vito Mercedes  e lei ve lo trasformerà in una Panda 4x4, se va bene. Se va male, in un ammasso di righe orizzontali o verticali. Se va peggio, in un ammasso di lamiere accartocciato, dico io. 

Ecco la storia.

Mi telefona il capo, stavolta il giorno prima. "Senti, ti andrebbe di consegnare dei formaggi. Fanno degli assaggi. Bisognerebbe andare agli ospedali di Mondovì e Ceva... ". Naturalmente ti hanno insegnato ad essere disponibile sul lavoro e rispondi di si. 

Così il giorno dopo uno va a lavorare già psicologicamente pronto. Ma mai abbastanza pronto.

Prendo il mio amico Vito e parto. Arrivare a Mondovì non è un problema, a parte i 60 km di strada con il sole basso e accecante in faccia. Gli occhiali da sole e il coso che si abbassa in auto per ripararti dai raggi, non sono abbastanza. 

Arrivo a Mondovì e l'ospedale è ben segnalato. Un complesso nuovo e fighissimo. Un gioiellino dell'architettura post moderna. Di quelli che hanno un buco in centro e i vari piani che si affacciano su 'sto buco. Guardandolo dal basso il soffitto sembra altissimo, mentre se sei sui piani alzi il braccio e lo puoi toccare. Così, cammini con la testa abbassata, per paura di sbattere contro un neon. 

Seguo il cartello "entrata fornitori". Arrivo in un parcheggio nel bel mezzo del nulla. Non un ingresso, non un magazzino, non un cartello "scarico merci". 

Chiedo all'operaio catarinfrangente. Lo disturbo mentre sta lavorando appoggiato alla ringhiera con le mani incrociate. Non sa rispondere. 

Scorgo un tizio che sembra un vigilantes perché ha un giubbotto bombato e delle etichette in stoffa attaccate sopra all'indumento. Il signore gentilmente mi accompagna fino alle cucine,  che sono al termine di una serie di corridoi che girano prima a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra. Avrei dovuto portarmi il formaggio dietro e seminarlo come Pollicino, per   ritrovare la strada. 

Il signore gentile mi abbandona, busso alle porte della cucina, ma nessuno mi apre. Allora chiedo alle signore delle pulizie ammassate in una stanzetta dall'altra parte del corridoio. Le tizie in malo modo mi rispondono che non sanno nulla. Tra le righe c'erano le parole "che cazzo ne sappiamo. Non rompere". Mi si avvicina un signore, che mi accompagna fino alla sala mensa, dicendomi che forse li avrei trovato qualcuno. 

Morale della favola: se sei una donna, non chiedere mai indicazioni ad altre donne. Chiedi agli uomini, che sono gentili e ti accompagnano. 

Imparando dalle favole, mi sono solo più rivolta agli uomini. Arrivata in sala mensa, trovo due tizi che mi dicono che i signori delle cucine arrivano con il cibo già pronto, quindi lo preparano da un'altra parte. Per sicurezza mi indicano il modo per arrivare alla reception dove sicuramente avrebbero saputo darmi una risposta. 

La signorina della reception che deve essere gentile per mestiere, fa un paio di telefonate e mi dice: "le cucine sono a Mondovì Piazza, nel vecchio ospedale". Mi spiega la strada per arrivarci e mi spiega la strada per uscire dall'ospedale: "Segua le indicazioni per il pronto soccorso!".  Al terzo bivio ho rischiato di ritrovarmi in una sala operatoria. Gentilmente mi accompagnano all'uscita, seguita da un calcio in culo. Era una donna. 

Esco dall'ospedale. Seguo le indicazioni ed arrivo al semaforo. Dovevo girare a destra o a sinistra? Dopo il semaforo avrei dovuto seguire i cartelli stradali. Giro a destra. Finisco in mezzo alla campagna. Nessuno cartello che mi indicasse la via. Mi sa che dovevo svoltare a sinistra. 

Ritorno indietro, cercando di fare manovra con Vito in una stradina di campagna... Finalmente trovo un cortile, entro in questa casa privata faccio inversione ad U tirando il freno a mano e trono indietro. 

Chiedo ad un vecchietto che mi dice: "vada dritto, alla seconda rotonda giri a destra. Li ci sono le indicazioni per Mondovì Piazza". 

Seguo le indicazioni del nonnino e dopo la seconda rotonda trovo le indicazione per l'ospedale. Mi dico: sarà l'ospedale vecchio di Piazza. Le seguo. Non mi ritrovo di nuovo al punto di partenza????

A 'sto punto i coglioni cominciano a girarmi. Scusatemi il termine "girarmi". Ritorno indietro e ripercorro la strada indicatami dal vecchietto. Nessun cartello con scritto "piazza". Richiedo informazioni e mi indicano un'altra strada. 

Finalmente 'sti benedetti cartelli che mi indicano la via. Peccato che comincio ad inerpicarmi su per le stradine medioevali concepite per i muli ed i carretti e non per il mio Vito.  Strade a senso unico, stette e divieti vari tra cui enormi "sensi vietati". Non so perché, nel medioevo, non abbiano mai pensato a fare strade a doppio senso di marcia. Arrivo su una Piazza, davanti ad una chiesa. Vicolo cieco. L'unica via di fuga un'enorme scalinata. 

'Ndò cazzo sta 'sto ospedale vecchio??? a detta di una signora quasi asfaltata sul ciottolato me lo sarei dovuta trovare di fronte appena arrivata in cima alla strada. 

Una piazza,  un'enorme scalinata, una chiesa, due nonnini. 

Chiedo ai nonnini. 
I due nonnini cominciano a disquisire su quale fosse la strada migliore da indicarmi. Come se stessero discutendo di politica, uno comincia a perorare la tesi che era più facile per me tornare indietro (ricordatevi della strada medioevale stretta e ripida) perché l'ospedale si trovava in fondo alla strada. "Ci è passata davanti signorina, non lo ha visto?".
L'altro signore invece non era d'accordo: "è senso vietato a scendere!". "Ma se le facciamo fare il giro lungo, la signorina si perde di nuovo! Poi ho già visto scendere almeno 5 auto". Giustamente. "Senta signorina, mi ascolti. Torni indietro lentamente, faccia attenzione perché è senso vietato. Se va a bocciare ha poi torto marcio. L'ospedale è infondo alla strada, tenendo la sinistra". 

Cosa faccio io? Se sono scese 5 auto contro mano, io faccio la sesta. Appena faccio per imboccare la strettoia, una enorme BMW nel senso giusto mi blocca la strada. Dietro di lei altre 6 auto. Faccio retromarcia,  dicendo parolacce in turco, armeno, austrogoto: "dkhoesms dieksejro eownewoerjo!!!!!!". 

Vedo spuntare i miei due nonnini che con spirito impavido e coraggio da leoni, vanno fino alla strettoia. Fanno passare le auto e da bravi vigili mi indicano la via libera. Parto in sgommata e mi ficco in contromano giù per la strada. 

Arrivo in un piazzale. Un edificio abbandonato. Le porte sprangate. Ma dove saranno le cucine? Faccio il giro perimetrale, a piedi. Non un segno di vita. Ci mancava l'uomo con la motosega che mi arrivava alle spalle ed avrei concluso la giornata in bellezza. 

"dksejoeio dsieorneo doiseoaeoa!!!". Decido di telefonare al mio capo: "kdoseneo eiowehr ewoeiwoei!!! 'sto ospedale non esiste, non si trova! torno indietro con i formaggi!!! diseonfeo ieruoeureh eudeoeoeo!!!".  Chiudo la conversazione, mentre l'altro balbetta un: "se se li, continua a cercare..."  

Prendo il furgone, faccio per tornare indietro e guardalo lì, come un'oasi nel deserto! Un vecchio palazzone dell' 800. Chiedo ad una signora che mi dice che le cucine sono infondo al cortile. 

Appena vedo il cuoco: apro il furgone, scarico le tume e vaffanculo! 

Riparto in sgommata con i nervi a fior di pelle. 

Comunque una cosa ho imparato, i nonnini sono meglio del ton ton. E per la cronaca, il furgone è tornato integro a casa. 








martedì 7 dicembre 2010

W l'autocultura!


 








Alle superiori sono stata molto sfortunata con i professori di lettere. Tra una professoressa noiosa a morte, un pazzo furioso ed una maniaca depressiva, la mia cultura letteraria si è fermata a "Cappuccetto Rosso" e "Biancaneve e i sette nani". Avrei tanto voluto arrivare almeno a "Cenerentola", ma non era nei programmi scolastici.
Così, una volta finite le superiori, mi sono dedicata da autodidatta ai grandi classici, quelli che in teoria dovrebbero farti studiare a scuola.


Se sei costretto a leggere "I Malavoglia" di Verga  perché te lo dice un'insegnante è un conto, ma se leggi "I Malavoglia" di tua spontanea volontà, è cultura sadomasochista.
Come si può concepire un romanzo come "I Malavoglia" dove tutti quei poveri cristiani che cercano un riscatto sociale, una via di fuga alla miseria economica, matematicamente subiscono una sfiga? O meglio, subiscono la "fiumana del progresso"?


Il padre muore in mare durante una tempesta giusto dopo aver intrapreso una nuova attività:  la vendita dei lupini. Un figlio si butta nella carriera militare e muore in guerra. Una figlia si trasferisce in città e comincia a fare la prostituta. Un'altra,  di nome Mena, deve badare alla famiglia e nonostante un bravo ragazzo le facesse la corte, rifiuta, perché? Perché deve badare alla famiglia. L'altro fratello rimane alla casa del Nespolo, si sposa, ha figli e tiene la sorella, Mena, come badante. E' l'unico a cui la vita gli vada bene perché rimane attaccato alla sua terra. La storia delle cinque dita che se si staccano dalla mano vanno in putrefazione, non fa una piega. 


Quando alla fine del libro il povero Compare Alfio di cui Mena è innamorata torna alla carica e le chiede nuovamente di sposarla, questa che fa? lo rifiuta! Perché? A 27 anni è ormai vecchia... Ma va a cagare! 


Insomma, Verga era un classista. Se nascevi povero morivi povero e felice. Se da povero cercavi di tirare su due soldi in più a fine mese, beh... morivi sempre povero, ma con atroci tormenti. Dipende da come volevi morire, se felice o tormentato. 

Sempre per essere sadomasa, di Verga ho anche letto "Storia di una Capinera", da quel giorno ho odiato Verga dal profondo e non ho più letto un suo racconto.  Povera Maria... 

Così mi sono buttata su Guy de MaupassantLa mia sorellona teneva un paio di libri di questo autore ben nascosti nel fondo di un cassetto. Siccome lei teneva sempre degli Harmony celati da qualche parte, siccme io li leggevo a sua insaputa e siccome pensavo che Guy fosse un autore di romanzi rosa porno, mi sono buttata allegramente nella lettura di "Una vita"

Dalle prime pagine ho pensato che fosse un Harmony un po' più sofisticato, ma continuando nella lettura ed usando tutto il mio acume ho capito che no, non era un romanzo rosa. Questo romanzo finiva decisamente male. Di solito i romanzi romantici, finiscono bene. Ho pianto come una fontanta, dall'inizio alla fine per quella povera Giovanna maltrattata da tutti, pure dal figlio. 


 Non paga ho letto anche il secondo libro di Maupassant nascosto nel cassetto: "bel ami". La storia di uno stronzo arrivista che usava le donne per raggiungere i suoi scopi. Non ricordo se alla fine il protagonista sia morto, ma spero tanto di si. 

Ho prestato Maupassant alla mia migliore amica che da allora è diventata una "emo", una cultitre della tristezza. Il passaggio da questo romanziere al cantautore Sergio Cammariere per lei è stato breve. Ora è rinchiusa in una comunità di disintossicazione, le fanno ascoltare Giuliano Palma dalla mattina alla sera.


Per non farmi mancare nulla ho letto anche "Madame Bovary" di Flaubert. La storia di una tipa che passava il suo tempo a leggere Jane Austin e quando ha capito che suo marito,  un povero medico di campagna, non assomigliava assolutamente a Darcy, ha deciso di cornificarlo. 
Per fortuna ho smesso anche io di cercare Darcy  tra gli uomini, altrimenti oggi farei la stessa fine di Emma Bovary, stroncata dall'arsenico. Ops... forse non avrei dovuto dire come andava a finire questo romanzo, ma sicuramente lo avrete letto tutti!  


Comunque, Jane Austin è la migliore scrittrice di Harmony della storia! 


Lasciando da parte gli harmony ed i romanzi cosi detti realisti, mi sono data al noir. Agatha Cristie è stata una gran delusione, Arthur Conan Doyle una palla mostruosa ed Edgar Allan Poe? I suoi "racconti del terrore" non facevano per niente terrore. Non so come si spaventasse la gente nell' 800, ma sicuramente oggi  è più inquietante svegliarsi al mattino accanto a Valeria Marini struccata o ritrovarsi in un party ad Arcore a fare il "bunga bunga" con Berlusconi.

Per rendere giustizia a Poe, mi ha terrorizzato parecchio quella storia dove racconta di gente seppellita. Quando riaprono le tombe, scoprono che il coperchio della cassa è graffiato e la gente sepolta ha una posizione contorta e lo sguardo terrorizzato. Insomma, gente sepolta viva. C'è 'sto tipo che soffre di catalessi e....tremo solo al pensiero.

Oggi vado matta per i thriller. Se un libro non ha come titolo "Un codice e qualche cosa", beh... non lo leggo. Ho perso la vena romantica e quella depressiva, adesso passo direttamente all'omicidio!